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La strategia di «ZP» per non lasciare l'Iraq
In realta', nelle settimane e nei mesi a venire, il nuovo governo di Madrid avra' diverse opportunita' per modificare la situazione. La Spagna, infatti, siede come membro non permanente nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu, e sta collaborando molto strettamente con i vertici dell'Alleanza Atlantica nella pianificazione e gestione della presenza internazionale in Iraq. Il probabile nuovo ministro degli Esteri, Miguel Angel Moratinos, e' stato fino all'anno scorso rappresentante speciale dell'Unione Europea per il Medio Oriente, sotto la guida di Javier Solana: e' dunque un profondo conoscitore della regione e dei suoi problemi. E' piu' che possibile, insomma, che Madrid punti ad un'iniziativa diplomatica a largo raggio mirante a rafforzare la presenza e l'autorita' politica dell'Onu a Baghdad e a multilateralizzare - ben al di la' delle forze della coalizione attuale - la presenza militare a garanzia della pace e dell'ordine interno. Non e' un segreto del resto che al prossimo Consiglio Atlantico di Istanbul, a fine giugno, la Nato sara' chiamata a decidere se e come impegnarsi direttamente nella stabilizzazione dell'Iraq. Ne' che l'amministrazione Bush, stretta fra le difficolta' sul terreno e quelle della campagna presidenziale americana, abbia un bisogno disperato di socializzare e internazionalizzare i rischi, i costi e le responsabilita' della ricostruzione dell'Iraq.
Se questo scenario relativamente ottimistico dovesse materializzarsi, sia pure gradualmente, Zapatero e Moratinos potranno sostenere di fronte ai cittadini che li hanno votati che le circostanze sono cambiate e che una presenza militare spagnola in Iraq e' diventata concepibile e, anzi, quasi doverosa. Non e', evidentemente, l'unico scenario possibile. Ma lavorare in questa direzione rappresenta un investimento politico cruciale per i socialisti spagnoli: una cosa infatti e' ritirarsi dall'Iraq in seguito ad un attentato terroristico, e ben altra cosa e' farlo dopo essersi adoperati - anche se invano - per un'evoluzione positiva della crisi, rimediando almeno in parte agli errori compiuti (da altri) nell'anno precedente.
Ad incoraggiare Madrid a lavorare comunque in questa direzione sara' probabilmente anche la sintonia con Parigi e Berlino, i cui interessi in questa crisi - all'Onu, alla Nato e altrove - appaiono ora convergenti con quelli del nuovo governo spagnolo. Multilateralizzare la ricostruzione dell'Iraq e, con essa, la gestione dell'intero `Greater Middle East' (dal contenzioso israelo-palestinese alla proliferazione nucleare iraniana, e oltre) rappresenta infatti un obiettivo strategico non solo franco-tedesco ma europeo. Anche Londra, a certe condizioni, potrebbe essere interessata a sviluppare un'iniziativa comune lungo queste linee - a conferma del fatto che il cambio a Madrid e' destinato ad avere, sugli equilibri interni europei, ripercussioni molto maggiori dell'alternanza in senso opposto avvenuta la domenica prima ad Atene.
Iraq a parte, infatti, l'altro dossier su cui "ZP" e compagni hanno gia' annunciato novita' e' quello della Costituzione europea. E la novita' essenziale consiste nella disponibilita' spagnola ad un accordo sulla cosiddetta "doppia maggioranza" per le votazioni in Consiglio, mettendo da parte il macchinoso e ingiusto sistema di voti `ponderati' approvato tre anni fa a Nizza. La presidenza irlandese ha fatto circolare una nuova proposta che fisserebbe il quorum al 55 % (degli Stati e della popolazione), e la Germania ha gia' fatto capire di essere pronta a trattare, presumibilmente anche sulla data di entrata in vigore del nuovo sistema. Un rinvio al 2014, infatti, offrirebbe a Madrid - ma anche all'altro paese, la Polonia, fino ad ora attestato sulla linea "o Nizza o morte" - la possibilita' di negoziare da posizioni piu' vantaggiose anche il successivo bilancio comunitario 2014-2020.
E sara' forse e proprio il linkage implicito fra Costituzione e bilancio Ue a determinare tempi e modalita' della loro approvazione, che anche per questo difficilmente avverra' prima di giugno: nessuno dei principali attori coinvolti, infatti, vuole davvero presentarsi alle elezioni per il Parlamento europeo difendendo una soluzione di compromesso rispetto alle proprie posizioni di partenza. Fra l'altro, in cambio della svolta sulla "doppia maggioranza", e' immaginabile che - anche per ragioni interne - i socialisti spagnoli chiederanno ai socialdemocratici tedeschi un ammorbidimento sulla loro richiesta di un tetto dell'1 per cento del Pil per il bilancio comunitario 2007-2013: un do ut des che, se condotto in porto, potrebbe finire per aiutare anche i socialisti polacchi a tirarsi fuori dal culo di sacco politico in cui si trovano ora sul sistema di voto. Gia' vent'anni fa, d'altra parte, fu in base ad un grand bargain ispano-tedesco sui fondi Ue che fu possibile lanciare il mercato unico e, poi, la stessa Unione monetaria.